HIGHER GROUND

Sono abituato alle definizioni che si usano per descrivere un giro in bicicletta. Ad esempio Nino autore e regista dell'uscita gravel di domenica usa spesso "giro stratosferico" e ieri gliel'ho sentito dire anche di persona davanti alla birra finale, volti stanchi e orsi di peluche impassibili.
Ma la stratosfera non appartiene a questa storia, questa è una storia della terra, quella più autentica, quella che da sola disorienta e riempie, la Terra più alta!
Il cliché è sempre lo stesso, Peppe che mi tira dentro, io che per stare fuori una giornata devo far combaciare mille cose ma che mai come in questo periodo riesco a fare benissimo, io che mi fido ciecamente di Nino e non carico neanche la traccia, Peppe che si lamenta sempre e che nessuno lo ha obbligato a prendere la muscolare... 
Il percorso si snoda al confine tra la Puglia e la Basilicata, partenza ed arrivo da Gravina in Puglia con un anello che più o meno a metà passa da Irsina.
Superata Matera, durante il trasferimento in auto, lungo la provinciale che ci porta a Gravina facciamo subito caso ad una costante della giornata, i trattori. Macchine gigantesche che si spostano sulla strada e che già sono all'opera nei campi che dal ciglio della strada si aprono a ventaglio. Non gli ho contati (era un passatempo di quand'ero piccolo quello di contare qualcosa dal finestrino posteriore dell'auto) ma probabilmente in poco più di 10 km forse una trentina in totale.
Anche questa volta la traccia di Nino mi fa esplorare zone completamente nuove, da queste parti non ci sono venuto mai. Lasciamo l'ombra fredda dei cipressi sul viale del cimitero per scendere rapidamente al sole e riscaldarci con una salita a brucia pelo che ci porta sul costone della gravina affacciato sul paese unito dal Ponte Acquedotto. Già solo la vista di questo scorcio mi ripaga della levataccia e dei chilometri persi in macchina, ma la giornata non è freddissima ed il sole splende in cielo, e le cose da vedere saranno ancora tantissime.
Riprendiamo a muoverci allontanandoci verso la periferia più rurale, Botromagno, Lamatufara alternando da subito asfalto e sterrati in corrispondenza della Fontana Dolcecanto svoltiamo su un nastro d'asfalto che inizia ad addentrarsi dentro una serie di colline dove i colori predominanti sono il marrone il verde e l'ocra (palette by Nino) forse incrociamo 3 auto, mentre i trattori invece sono ovunque, discreti e ben visibili lungo la strada, rumorosi incisori geometrici sul foglio argilloso o lontani punti in bilico sulle serre più alte. Dopo sei chilometri di asfalto risaliamo lungo uno sterrato impegnativo verso piano S. Felice dove la terra si stende più pacata e il rumore dei trattori è soffocato dal girare perpetuo delle pale eoliche che proiettano lunghe le loro ombre ad intervalli regolari.
Per un attimo scendiamo di quota per procedere poi attraverso la gola tra Serra Inchiancata e Serra S.Felice. Grossi edifici agricoli abbandonati e poi ancora una larga e veloce discesa verso il drittone de La Cattiva fino a Iazzo La Cattiva dove il nostro arrivo sorprende una volpe che s'infila di corsa all'interno di un fabbricato e uscendone molto più velocemente nell'apertura sul lato opposto.
Arriviamo sotto la diga Serra del Corvo, dove Peppe propone una variazione sul romantico (a detta sua) lungo bacino, ma gli facciamo cambiare idea e a giudicare dal fango che da qui in avanti incontreremo è stato un bene.
Scendiamo per uno sterrato che costeggia il torrente Basentello e poi risalendo nei campi attraversiamo località Caccavella dove iniziano a palesarsi nel niente i primi casolari abbandonati risalenti alla Riforma Agraria del 1950, siamo circa a metà strada Santa Maria D'Irsi e Borgo Taccone:

I nuovi nuclei insediativi dovevano contemplare gli edifici necessari all’organizzazione civile e sociale della popolazione: erano presenti la chiesa, gli edifici pubblici (la caserma dei carabinieri, l’ufficio postale, la sede della delegazione comunale, l’ambulatorio con abitazione del medico), quelli per l’istruzione (la scuola elementare e quella materna con i relativi alloggi per gli insegnanti), quelli destinati alle attività ludiche (il teatro, il circolo sociale, la trattoria), i negozi per generi di prima necessità, le case per gli artigiani e quelle rurali per i contadini (a schiera, a gruppi o isolate, con l’allevamento zootecnico presso l’abitazione) che possedevano poderi entro un raggio di 3 km dal borgo.
Nei borghi della Riforma agraria, per quanto riguarda l’architettura, generalmente venivano adottati modelli architettonici ‘standards’ che, in fase di esecuzione, erano spesso modificati dalle maestranze locali che li conformavano alle loro conoscenze costruttive, usando, oltre ai nuovi materiali, anche quelli disponibili nel territorio regionale. Tuttavia, a questa prassi progettuale comune adottata dai tecnici della Riforma agraria, si affiancarono anche realizzazioni di professionisti del tempo che si cimentarono nella sperimentazione di nuove espressioni architettoniche, interpretando liberamente il linguaggio locale adattandolo alle nuove e moderne funzioni degli edifici.

Con la Riforma agraria in Basilicata furono espropriati più di 75.000 ettari di terreno, con una distribuzione ai coloni di circa 12.000 poderi. L’assegnazione di case coloniche e dei terreni non sortirono, però, gli esiti sperati e la Riforma, sotto alcuni punti di vista, si dimostrò un fallimento. Infatti, l’isolamento dei poderi, la limitata o mancata costruzione di infrastrutture e opere per l’irrigazione, la mediocre qualità delle terre di molti territori espropriati, determinarono ben presto l’abbandono dei fondi assegnati con la conseguente emigrazione, che lasciò le case coloniche e i borghi rurali dimenticati nell’oblio.
La criticità dello spopolamento, però, oggi può essere vista paradossalmente come una peculiarità; questi nuclei, infatti, una volta abbandonati non hanno subito particolari variabili detrattive e nessun conflitto di interessi latenti in merito ad un mercato immobiliare.

(I borghi rurali della Riforma fondiaria in Basilicata Urbanistica e architetture "moderne" alla prova della contemporaneità - AGRIFOGLIO Periodico dell’ALSIA)

Questi edifici sono solo una parentesi nel percorso umano su un territorio immobile e sempre predominante, casolari accordati al territorio non disturbanti.
Il passaggio avventato in un guado e poi quello forzato sotto la Statale 655 ci segnano con un fango argilloso, sul ponte sul Basentello dobbiamo ripulire alla meglio le biciclette, ma nuovamente sui pedali mi accorgo che il mio cambio anteriore non va!! Provo qualche operazione che non riesce ed entro un po' in apprensione pensando al resto della strada che manca comprese le salite più lunghe.
Altri 6 km di strada impegnativa sul bordo di una collina attraversando il fango e giocando sui pignoni posteriori per superare le pendenze più arcigne. 
Ritorniamo sull'asfalto nei pressi di Irsina scalo, qualche altro scossone e il cambio riprende a funzionare, giusto in tempo per i 5, 5 km di salita che ci porteranno su ad Irsina.
Sono praticamente le 13:00. Ci fermiamo al Coniglio Pettinato, un bel bar bistrot nella parte più vecchia. Mangiamo qualcosa insieme ad una birra.
Foto dal balcone affacciato sulla valle sottostante che tra qualche minuto taglieremo in bicicletta. 
Passiamo davanti alla monumentale Fontana, appena sotto il centro abitato, alimentata da un ingegnoso sistema di bottini e cunicoli sotterranei che captano l'acqua di falda, fungendo da abbeveratoio per il bestiame e oggi anche per irrigare gli orti, testimoniando l'importanza vitale dell'acqua per questa terra collinare, come documentato dai canali sotterranei (bottini) che portano l'acqua sorgiva in paese
Poi la strada precipita nella valle verso località Tamburrini e dopo gli ultimi più agevoli passaggi nel fango ci ritroviamo al centro della valle attorniati da dolci colline materne dai colori caldi.
Mi allontano verso l'orizzonte e mi esce spontaneo un urlo, felicità, appagamento probabilmente anche un senso di libertà.
Poi mi ritornano tutti i video di ciclisti al vento in Patagonia, nelle desolazioni del Turkmenistan o in Mongolia e quella stessa sensazione a me sembra si possa provare anche a pochi chilometri da casa!
Sbuchiamo sulla strada che questa mattina abbiamo fatto in auto, sotto il Monte dei Morti, ma fortunatamente una complanare sottoposta ci corre di fianco, Nino, sempre con un occhio alla mappa ci fa deviare per un ulteriore sterrato.
Passiamo davanti la vecchia stazione Pellicciari della linea Ferrovia Altamura-Avigliano-Potenza da qui inizia la salita di Spinalva, la stanchezza si fa sentire e l'ascesa è più impegnativa del previsto.
Peppe invece mette il turbo e va via tirando dritto e saltando l'ultimo pezzo di sterrato che ci avrebbe riportato a Gravina.
Ci cambiamo, il fango da togliere sarà molto, e andiamo alla ricerca di un bar per la birra finale.
Uscite in bicicletta come queste ti restano dentro per sempre.
Ritrovarti a pedalare praticamente nel niente è un'esperienza che disorienta e può anche spaventare ma superati questi momenti inizi ad aprire il cuore e la vista a tutto quello che hai intorno e come dice Peppe il bello ti entra dentro e riempie i vuoti.
Parole, fotografie, solo in parte riescono a descrivere e raccontare ...

fino a raggiungere il terreno più alto
non lasciare che nessuno ti abbatta
Dio ti mostrerà il terreno più alto
è l'unico amico che hai intorno





















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